LA QUADRIENNALE DI ROMA - STUDIO VISIT
A cura di Osservatorio Futura
foto di Davide D’Ambra
Paolo Pibi si forma da autodidatta in Sardegna, dove inizia a collaborare a distanza con alcune gallerie di Milano, città in cui vive dal 2012 al 2022, condividendo il percorso con altri giovani artisti.
Nella pratica di Pibi una particolare rilevanza viene data alla ricerca sul metodo. Essa parte da una riflessione sulla ‘novità’ in pittura e sull’apporto che un artista può dare in termini di sviluppo della stessa. A partire da questa inclinazione, circa quindici anni fa, Pibi mette a punto un processo del tutto personale e meditativo che ha origine nel momento in cui si ritrova davanti alla tela bianca e deve realizzare un’opera. L’artista mette da parte il tradizionale approccio alla pittura, fatto di ricerche iconografiche e successiva formalizzazione, e mette a punto l’incontro e la fusione di diverse correnti psicologiche e meditative, insieme con la sociologia e la teoria della percezione della forma, approdando a un inedito flusso istintivo, in cui l’immagine viene visualizzata e si materializza nella testa dell’artista e non presenta alcun appiglio con l’esterno.
Pibi, nel suo processo, per certi versi terapeutico, abbandona dunque qualsiasi influenza con la dimensione circostante e con il contesto, portando a galla il rimosso, molto spesso legato a eventi autobiografici. Questo automatismo comporta un continuo ripensamento: seppur non percepibile, i lavori sono una stratificazione di immagini diverse che si sommano man mano, spesso cambiando drasticamente rotta, fino a raggiungere un esito per lui soddisfacente. Tale pratica, che lascia da parte qualsiasi teoria di costruzione e composizione dell’immagine, non dichiara il suo processo, facendoci invece pensare a un’opera figlia solamente di tecnicismi, pulizia e precisione formale.
Il processo e la metodologia che porta la costruzione di ogni singola opera hanno per noi un valore nel contesto attuale contemporaneo. L’atmosfera e l’immaginario che la pittura di Pibi crea sono un invito, una finestra (‘A’ Train, 2023) che mette l’osservatore di fronte a un’immagine che può a sua volta stimolare un processo terapeutico e determinare riflessioni, connettendolo intimamente con l’opera. Inoltre, questo processo offre spunti di riflessioni circa la costruzione di un’immagine pittorica non influenzata da riferimenti esterni e sposta l’attenzione sulla dimensione interiore e sull’atto pittorico in sé.
L’evoluzione della pratica di Pibi è riscontrabile, a partire dal 2019, in un diverso approccio ai materiali. Questo interesse si traduce nello studio del supporto, che lo porta a dipingere sul retro della tela, a pensare a lavori più installativi o a provare supporti diversi (Window 2830, 2018; Overlay #5, 2022). In particolare, è proprio nell’ultimo periodo che Pibi sperimenta l’uso della tavola e del taglio laser di essa. L’intervento della macchina è un’azione particolare, che va a integrare l’automatismo della pratica di Pibi con quello meccanico di uno strumento che necessita una progettazione estranea ed esterna, da ragionare a priori.
Un limite che ci sentiamo di sottolineare è che l’aspetto metodologico non è stato ancora codificato e messo nero su bianco. Questo offrirebbe una fondamentale e approfondita chiave di lettura che, al contrario, mancando, rischia di far fermare la comprensione dell’opera alla sua superficie. Inoltre, il rischio principale è quello di essere associati a correnti del passato (realismo magico, metafisica, anacronismo, surrealismo, etc.), somiglianze puramente formali e/o di atmosfere, in realtà, che nulla hanno a che fare con il processo, riconducibile, paradossalmente, all’istintualità dell’astrattismo.
Pibi, nel suo processo, per certi versi terapeutico, abbandona dunque qualsiasi influenza con la dimensione circostante e con il contesto, portando a galla il rimosso, molto spesso legato a eventi autobiografici. Questo automatismo comporta un continuo ripensamento: seppur non percepibile, i lavori sono una stratificazione di immagini diverse che si sommano man mano, spesso cambiando drasticamente rotta, fino a raggiungere un esito per lui soddisfacente. Tale pratica, che lascia da parte qualsiasi teoria di costruzione e composizione dell’immagine, non dichiara il suo processo, facendoci invece pensare a un’opera figlia solamente di tecnicismi, pulizia e precisione formale.
Il processo e la metodologia che porta la costruzione di ogni singola opera hanno per noi un valore nel contesto attuale contemporaneo. L’atmosfera e l’immaginario che la pittura di Pibi crea sono un invito, una finestra (‘A’ Train, 2023) che mette l’osservatore di fronte a un’immagine che può a sua volta stimolare un processo terapeutico e determinare riflessioni, connettendolo intimamente con l’opera. Inoltre, questo processo offre spunti di riflessioni circa la costruzione di un’immagine pittorica non influenzata da riferimenti esterni e sposta l’attenzione sulla dimensione interiore e sull’atto pittorico in sé.
L’evoluzione della pratica di Pibi è riscontrabile, a partire dal 2019, in un diverso approccio ai materiali. Questo interesse si traduce nello studio del supporto, che lo porta a dipingere sul retro della tela, a pensare a lavori più installativi o a provare supporti diversi (Window 2830, 2018; Overlay #5, 2022). In particolare, è proprio nell’ultimo periodo che Pibi sperimenta l’uso della tavola e del taglio laser di essa. L’intervento della macchina è un’azione particolare, che va a integrare l’automatismo della pratica di Pibi con quello meccanico di uno strumento che necessita una progettazione estranea ed esterna, da ragionare a priori.
Un limite che ci sentiamo di sottolineare è che l’aspetto metodologico non è stato ancora codificato e messo nero su bianco. Questo offrirebbe una fondamentale e approfondita chiave di lettura che, al contrario, mancando, rischia di far fermare la comprensione dell’opera alla sua superficie. Inoltre, il rischio principale è quello di essere associati a correnti del passato (realismo magico, metafisica, anacronismo, surrealismo, etc.), somiglianze puramente formali e/o di atmosfere, in realtà, che nulla hanno a che fare con il processo, riconducibile, paradossalmente, all’istintualità dell’astrattismo.
Ciò che più ci convince è invece la potenzialità della sua pratica, capace di andare oltre il contemporaneo e di muoversi in una dimensione altra. È inoltre apprezzabile la tecnica e di conseguenza la riconoscibilità dei lavori che rimangono fedeli a una dimensione trasognata, misteriosa e atavica.